Centro studi movimenti, 28 aprile 2013
Esistono modalità diverse con cui passato e presente si relazionano. Il passato offre casi e modelli, il presente gli pone interrogativi e mantiene memoria di alcuni suoi eventi, uomini o donne sui quali costruire, di volta in volta, politiche della memoria.
E, nel presente, convivono più livelli di memorie, tutte legittime ma non sempre sovrapponibili. Esiste la memoria privata di eredi e familiari, densa di emozioni e, talvolta, di sofferenza per il vuoto che la scomparsa dei propri cari ha lasciato. Esiste la memoria degli storici e la necessità di comprendere il passato con metodologia scientifica che – se, come diceva Marc Bloch, la storia è storia di uomini e donne nel tempo – deve poter far uso delle loro vicende e delle loro esperienze nel passato, soprattutto quando più di altre hanno lasciato tracce dietro di sé. Ed esiste, infine, la memoria pubblica, quella promossa dalle istituzioni che, col loro sguardo al passato, orientano la società, si fanno promotori di identità collettive e propongono valori e idealità che considerano valide nel presente e dunque da preservare.
Memorie diverse, tutte legittime. Talvolta esse convergono e promuovono unitariamente una stessa memoria pubblica, altre volte divergono e entrano in conflitto. Chi negli studi storici lavora sulle biografie, per fare l’esempio più eclatante, sa perfettamente quali siano le difficoltà nel relazionarsi con familiari che desiderano contribuire attivamente alla ricostruzione storica, condizionando e indirizzando l’interpretazione e la ricerca (certo a partire da desideri e aspettative più che comprensibili).
Il caso di 10 volti per la Liberazione, la mostra diffusa nelle strade della nostra città, ha fatto emergere – con la polemica sui giornali locali di una figlia che non desidera l’esposizione pubblica della propria madre partigiana – la discordanza tra queste differenti memorie, quella privata e familiare e quella pubblica e collettiva.
Le esigenze della figlia di non voler ricordare pubblicamente la bellissima storia della madre si scontra con altre esigenze: quella di noi storici – che attraverso Maria Zaccarini troviamo terreno per riflettere su uno dei periodi più difficili dell’Italia recente – e quella delle istituzioni che, tramite la vita di quell’allora giovane donna, il suo rigore morale, la sua scelta partigiana, hanno modo di proporre alla città e alle nuove generazioni un esempio straordinario di assunzione di responsabilità, in relazione all’esistente e alla sua giustizia. E quando memoria pubblica e privata confliggono è molto difficile capire quale ragione debba avere la meglio.
Ci sono stati altri casi, anche nella storia di Parma, che possono aiutare a riflettere. Anni fa, durante uno studio sull’antifascismo nel periodo della dittatura mussoliniana, i ricercatori coinvolti nel lavoro trovarono alcuni documenti che dimostravano come una delle personalità più note della storia antifascista della città, deceduto da diversi anni, fosse stato, negli anni Trenta, una spia del regime. Un fatto sconosciuto non solo alla città ma anche ai familiari che sollevò dubbi, perplessità, tormenti. Alla fine i ricercatori scelsero di non rendere pubblica la notizia per non turbare la memoria dei suoi eredi, al prezzo però di continuare ad alimentare una memoria pubblica ovviamente travisata.
Un altro caso è quello della memoria di un giovane ucciso da un gruppo di neofascisti nei primi anni Settanta. Dopo aver contribuito, per diversi anni, ad una politica del ricordo unitaria – promossa da istituzioni, organizzazioni politiche e familiari – ad un certo momento, i familiari hanno chiesto il silenzio su quella “loro” morte. E sono così entrati in disaccordo, non tanto con la storiografia, quanto con i movimenti antifascisti che sentivano quel giovane come una “loro” vittima.
Il caso di Maria Zaccarini e della sua memoria, dunque, è uno dei tanti problemi che il rapporto tra memoria privata e memoria pubblica sempre pone. Anche per questo vorremmo uscire dalla polemica delle lettere sui giornali e proporre alla città una riflessione più ampia e più alta, che abbia a che fare con questa stratificazione del ricordo e che ci riguarda tutti, ogni volta che ci guardiamo alle spalle.
Parma, 28 aprile 2013
Centro studi movimenti