Conseguenze sociali della Grande guerra (1915-18)

a cura di Ilaria La Fata

 

 

La prima guerra di massa, moderna e industrializzata della storia è rappresentata da due simboli, strettamente connessi tra loro: il fante e la trincea, il luogo dove i soldati vivevano giorno e notte costantemente sotto il tiro dell’artiglieria nemica. In quelle fosse, dove vigeva la disciplina più rigida e dove gli ordini andavano sempre assolutamente rispettati, tra i soldati male o per nulla equipaggiati, terrorizzati ed affamati, si diffusero presto fenomeni di ribellione e di squilibrio mentale, la cui gestione creava enormi problemi per l’insufficienza delle strutture ma anche per il rischio di alimentare un clima di paura e di protesta nell’opinione pubblica e nel “fronte interno”.

 

Analizzare la complessità e la portata del dissesto emotivo conseguente alla carneficina prodotta dalla guerra significa anche verificare la difficoltà, da parte della società contadina, ad adeguarsi ai nuovi modelli sociali imposti dalla modernità di un’esperienza collettiva tanto estrema per durata, intensità e impatto traumatico.

I protagonisti del conflitto, attori e vittime di un dramma collettivo, non furono dunque soltanto i soldati al fronte, ma anche le loro famiglie: si pensi ad esempio alle donne ricoverate in ospedale psichiatrico per le conseguenze dell’abbandono dei propri mariti richiamati.

Il percorso intende verificare che cosa abbia significato per gli italiani vivere e subire la Grande guerra, non solo sul piano fisico e materiale, ma anche e soprattutto su quello psichico e dei comportamenti sociali, utilizzando materiali d’archivio, immagini e filmati d’epoca.

Il laboratorio si svolgerà attraverso l’analisi ragionata di documenti d’archivio, fonti letterarie e immagini.

 

 

L’unità didattica, composta da due incontri di due ore ciascuno, è rivolta alle scuole secondarie di primo e secondo grado.

 

 

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