Linguaggi e pratiche di lotta del movimento femminista
a cura di Michela Cerocchi
Le donne parteciparono fin dall’inizio, attivamente, alla generale messa in discussione della società. Furono presenti nelle scuole, nelle università, nelle fabbriche, nelle organizzazioni politiche e negli scontri con la polizia. Ma sia il movimento studentesco che quello operaio si basavano su pratiche politiche che avevano come unico punto di riferimento l’individuo maschile: i valori dell’impegno erano totalizzanti e lo spazio per la vita privata inesistente. Nei movimenti di protesta, nel fervore della lotta, le donne continuavano a svolgere ruoli tradizionali, come quello di “angelo del ciclostile”, che riprendeva lo stereotipo di stampo fascista di “angelo del focolare”. Persino il concetto di liberazione sessuale, proclamata e anche praticata in quegli anni, riguardava in realtà solamente gli uomini e le loro personali esigenze. La delusione femminile fu dunque molto forte e dettò l’inizio di un percorso di ricerca di uno spazio proprio e diverso. Lo stimolo giungeva dagli Stati Uniti dove un agguerrito movimento di donne stava mettendo sotto accusa l’assetto patriarcale della società, rivendicando la priorità del soggetto donna in contrapposizione alle categorie tradizionali del fare politica. Fu con il Manifesto del collettivo Rivolta femminile che venne formulata la prima organica espressione del femminismo italiano, nel luglio 1970. Vi si dichiarava di voler attuare una “tabula rasa” della cultura maschile in modo che la donna potesse esprimersi nella sua autenticità. Fu come una dichiarazione di guerra. Si affermò che il “personale è politico”, venne proclamata la specificità dell’oppressione femminile, trasversale a tutte le classi sociali: il controllo totale che la società attuava sul corpo e sulla vita sessuale femminile rappresentavano, infatti, la radice dello sfruttamento operato dagli uomini sulle donne. Da questo momento, attraverso le nuove pratiche politiche messe in atto dal movimento, come quella dell’autocoscienza, le donne iniziarono ad analizzarsi e a raccontarsi autonomamente, uscendo dall’immagine costruita dall’uomo. Per la prima volta nella storia dei movimenti femminili italiani, si parlò in modo esplicito di “liberazione” e “rivoluzione”, non più di emancipazione e uguaglianza. Si costituirono così i primi collettivi esclusivamente femminili, che successivamente sarebbero sorti numerosi in tutta l’Italia. Il triennio 1974-1976 segnò la fase di maggiore “visibilità” del movimento (le manifestazioni per il divorzio e per l’aborto ne furono un esempio), ma fu anche il momento di più intensa conflittualità con l’altro sesso e con l’opinione pubblica: fu allora che si costruì da parte dei mass media lo stereotipo negativo della femminista.
L’incontro si propone di accompagnare gli studenti, al di là dei luoghi comuni, dentro la complessità delle lotte di liberazione femministe, cercando di chiarire e illustrare le principali pratiche (autocoscienza, affidamento, ecc.) introdotte dal movimento, attraverso cui le donne cercarono la propria specificità, attribuendo valenza politica alla dimensione della propria esperienza personale.
Il percorso prevede l’analisi di testimonianze, articoli apparsi su quotidiani locali e nazionali, foto e video.
Il percorso si articola in due incontri di due ore ciascuno ed è rivolto a tutte le classi delle scuole secondarie di secondo grado e alle ultime di quelle di primo grado.
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