Della ricerca e delle verità. Sulle accuse al Centro studi movimenti di “negazionismo”
Come ogni anno, il 10 febbraio è il giorno in cui ricercatori e ricercatrici di storia sono chiamati a esporsi sul “Giorno del ricordo”, ragionando di foibe e delle «complesse vicende del confine orientale», secondo quanto suggerisce la Legge n. 92 del 2004 che istituisce questa giornata. Come ogni anno, puntualmente, ricercatori e ricercatrici di storia sono accusati di essere negazionisti perché non si fermano a condannare la tragedia delle foibe ma, documenti alla mano, cercano di fare il loro mestiere, vale a dire capire ‒ e far capire a un più ampio pubblico ‒ quelle vicende, inserendole nel loro contesto.
Seguendo una precisa deontologia professionale e le indicazioni di quella Legge (che segnala la necessità da parte di enti e istituzioni di realizzare «studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende»), gli storici pongono al centro del lavoro non i discorsi ad effetto, le condanne morali o i racconti cruenti quanto l’urgenza di comprendere il passato, di chiedersi il perché dei nessi causali che legano fatti terribili, anche (apparentemente) distanti tra loro. Questo è in definitiva il mestiere dello storico, che non porta mai apoditticamente alla verità (con la V maiuscola) ma, con procedimenti seri e rigorosi, tende a un racconto privo di incrostazioni retoriche e costruzioni ex post.
Il 10 febbraio, però, tutto si complica, e la ricerca storica deve difendere con le unghie e con i denti il proprio lavoro dalle accuse di tutti coloro che si sentono in qualche modo “parte in causa”, e che, sordi a qualsiasi tipo di dialogo, strillano continuamente che la ricerca storica sulla tragedia delle foibe e sul confine orientale è solo negazione di quanto già si conosce, perché «è ora che finalmente si sappia la Verità». Tutto dovrebbe ridursi a una semplice dichiarazione d’intenti politici.
Quest’anno sotto questi attacchi ideologici è incappato il Centro studi movimenti, un istituto di ricerca che fa parte della rete degli istituti storici della Resistenza e che ha alle spalle vent’anni di esperienza storiografica. La nostra colpa sembra sia stata quella di aver organizzato due incontri con le scuole su ciò che avvenne al confine orientale italiano, tra gli anni Trenta e gli anni Quaranta, tra il regime fascista e l’occupazione dell’esercito partigiano jugoslavo. Se così è, significa che per alcune forze politiche il Giorno del ricordo non può essere una giornata di studio e riflessione, ma solo di declamazione della Verità, «una sola, categorica e impegnativa per tutti», avrebbe detto qualcuno. Inutile dire che una “verità” così non ci interessa, la lasciamo a questi signori e preferiamo continuare a fare il nostro mestiere.
Parma, 10 febbraio 2021
Centro studi movimenti