Trasformazioni e metamorfosi del concetto di guerra
a cura di Marco Baldassari
Il concetto di guerra e, in particolare, la relazione tra pace e guerra forniscono una lente interpretativa del moderno e dell’età globale estremamente efficace per comprendere le dinamiche della storia e delle società. E’ infatti attraverso questa particolare relazione polemologica che emergono le contraddizioni degli ordini internazionali.
La guerra come bellum justum dell’età medievale, che presuppone un nemico assoluto contrapposto alla missione civilizzatrice e universale del Cristianesimo nei confronti del mondo, non è certamente la guerre en forme dei moderni eserciti statali, che si fronteggiano in uno spazio europeo, codificato da un diritto e da un sistema di relazioni fra stati ben preciso in cui lo justus hostis è riconosciuto come nemico pubblico e politico (Schmitt). Questo fondamentale assunto della modernità subisce una profonda trasformazione nel Novecento con il concetto di “guerra totale”, che ha cambiato non solo i termini della contrapposizione (scontro ideologico) ma anche i soggetti coinvolti: i civili e i privati vengono fagocitati e inclusi forzatamente in questa esperienza totalizzante (mobilitazione totale, bombardamenti a tappeto, campi di concentramento).
La “guerra totale”, che come contrapposizione ideologica trova la sua trasfigurazione più grottesca nella la guerra fredda, si trasforma in quella che viene definita da alcuni studiosi “guerra globale” (Galli). Si tratta di un’interpretazione che tiene conto di una fondamentale cesura tra epoca moderna ed epoca globale e dell’emergere di nuovi fenomeni: la deterritorializzazione, la crisi degli spazi statali e la nascita di nuove forme di governance e di controllo La “guerra globale” si allontana dagli schemi classici di contrapposizione, ma non per questo risulta essere meno violenta. La guerra certamente si sta “digitalizzando” – a partire dalla prima guerra nel Golfo assistiamo a quello che può essere definita una “spettacolarizzazione” della guerra, fenomeno televisivo, mediatizzato e quindi assimilato senza contraddizioni nel quotidiano – ma rimane estremamente più feroce in zone puntuali del globo in cui la violenza colpisce senza nessuna “rete protettiva”, quali potevano essere i contrappesi del diritto internazionale o dello jus publicum europaeum.
Nella globalizzazione la contrapposizione bellica diventa quindi senza limiti. Senza limiti geografici, nel senso che il conflitto non è più riconducibile agli schematismi moderni di interno/esterno, pace/guerra, nemico/amico, ma è diffuso, ubiquo e decentrato. Senza limiti politici poichè i soggetti coinvolti non sono più solamente gli stati, ma una dimensione reticolare e plurale di violenza organizzata. La guerra può colpire chiunque in qualsiasi luogo (basti pensare ai concetti di “guerra al terrore” e “guerra asimmetrica” ecc.).
La guerra come bellum justum dell’età medievale, che presuppone un nemico assoluto contrapposto alla missione civilizzatrice e universale del Cristianesimo nei confronti del mondo, non è certamente la guerre en forme dei moderni eserciti statali, che si fronteggiano in uno spazio europeo, codificato da un diritto e da un sistema di relazioni fra stati ben preciso in cui lo justus hostis è riconosciuto come nemico pubblico e politico (Schmitt). Questo fondamentale assunto della modernità subisce una profonda trasformazione nel Novecento con il concetto di “guerra totale”, che ha cambiato non solo i termini della contrapposizione (scontro ideologico) ma anche i soggetti coinvolti: i civili e i privati vengono fagocitati e inclusi forzatamente in questa esperienza totalizzante (mobilitazione totale, bombardamenti a tappeto, campi di concentramento).
La “guerra totale”, che come contrapposizione ideologica trova la sua trasfigurazione più grottesca nella la guerra fredda, si trasforma in quella che viene definita da alcuni studiosi “guerra globale” (Galli). Si tratta di un’interpretazione che tiene conto di una fondamentale cesura tra epoca moderna ed epoca globale e dell’emergere di nuovi fenomeni: la deterritorializzazione, la crisi degli spazi statali e la nascita di nuove forme di governance e di controllo La “guerra globale” si allontana dagli schemi classici di contrapposizione, ma non per questo risulta essere meno violenta. La guerra certamente si sta “digitalizzando” – a partire dalla prima guerra nel Golfo assistiamo a quello che può essere definita una “spettacolarizzazione” della guerra, fenomeno televisivo, mediatizzato e quindi assimilato senza contraddizioni nel quotidiano – ma rimane estremamente più feroce in zone puntuali del globo in cui la violenza colpisce senza nessuna “rete protettiva”, quali potevano essere i contrappesi del diritto internazionale o dello jus publicum europaeum.
Nella globalizzazione la contrapposizione bellica diventa quindi senza limiti. Senza limiti geografici, nel senso che il conflitto non è più riconducibile agli schematismi moderni di interno/esterno, pace/guerra, nemico/amico, ma è diffuso, ubiquo e decentrato. Senza limiti politici poichè i soggetti coinvolti non sono più solamente gli stati, ma una dimensione reticolare e plurale di violenza organizzata. La guerra può colpire chiunque in qualsiasi luogo (basti pensare ai concetti di “guerra al terrore” e “guerra asimmetrica” ecc.).
L’unità didattica affronterà questi concetti da un punto di vista filosofico e utilizzando analisi teorico-politiche che tengano conto anche dei principali snodi storici del Novecento. La lezione affronterà l’argomento attraverso l’analisi di fotografie, illustrazioni e non mancheranno letture di alcuni brani significativi di scrittori e filosofi del Novecento.
Il percorso prevede due incontri della durata di due ore ciascuno ed è rivolto alle ultime classi delle scuole superiori.
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