Recensione al libro di William Gambetta - di Marco Severo

 

William Gambetta, I muri del lungo ’68. Manifesti e comunicazione politica in Italia, prefazione di Edoardo Novelli, DeriveApprodi, Roma 2014, 189 pp.

 

 

Anno 1963, Italia. Il Partito socialista italiano diffonde un manifesto politico che ritrae due giovani, un ragazzo e una ragazza in posa quasi romantica: lui indossa una cravatta e lei un delizioso cappello alla moda. Colori arcobaleno fanno da tappeto grafico ad uno slogan che assomiglia alla réclame d’un gelato: “Il socialismo ha un cuore giovane!!”.

Anno 1972, Italia. Il Partito socialista italiano pubblica un manifesto politico con la foto di un ragazzo, certo ancora sorridente, che però indossa la camicia sbottonata e tiene alzato un braccio col pugno chiuso su uno sfondo tutto rosso. Lo slogan ora recita: “Lotta col voto Psi”. Dall’arcobaleno al rosso della lotta: cosa è cambiato frattanto?

Ancora 1963: la Democrazia cristiana festeggia l’anniversario della sua fondazione con l’immagine di una sposina vestita naturalmente di bianco e con un mazzolin di fiori stretto in mano: “La Dc ha 20 anni” annuncia una scritta.

Anno 1976: stavolta la Democrazia cristiana divulga una stampa con la foto d’un gruppetto di ragazze che dibattono vivaci, su uno sfondo urbano, mentre una di esse tiene in mano una sigaretta accesa anziché il mazzolin di fiori. Quale mutamento è intervenuto nel sentire collettivo da giustificare rendendola quasi ovvia (e ovvia non era), una tal rivoluzione nella rappresentazione di soggetti come le nuove generazioni e le donne?

Se i quesiti non sembrano difficilissimi meno banale, e assai più stimolante, può rivelarsi la metodologia che lo storiografo sceglie per la ricerca della risposta. Nel suo libro I muri del lungo ’68. Manifesti e comunicazione politica in Italia (Derive Approdi, 2014), William Gambetta racconta infatti la storia d’Italia negli anni del “lungo Sessantotto” seguendo una strada ancora poco battuta, cioè componendo un mosaico narrativo con le fonti iconografiche più rivelatrici del periodo: i manifesti elettorali e i fogli politici che a quel tempo i partiti parlamentari e i movimenti della nuova sinistra ciclostilarono a rullo continuo, e che il libro riproduce in un’ampia sezione con stampe a colori. Come un archeologo della contemporaneità Gambetta parte dai segni di un’epoca. Li decodifica, ne mostra i meccanismi linguistici e la “grammatica comunicativa” per riconoscergli una dignità pari a quella delle fonti scritte e orali.

Nei manifesti politici, secondo l’autore, sta infatti condensato lo spirito di una stagione più e meglio che in tante parole. “Poiché i manifesti sono affissi in luoghi pubblici” e dunque “devono essere tollerati dall’insieme della comunità che li guarda (…)” scrive l’autore muovendo dalle osservazioni dello storico Max Gallo, essi restituiscono un’efficace “sintesi di idee e valori maggioritari” della fase cronologia considerata. Nipoti delle stampe ottocentesche e figli del boom economico incrociato con le sperimentazioni dell’arte underground americana e del Maggio francese, i manifesti divennero per i nuovi protagonisti dell’azione politica – gli studenti, gli operai, le donne – un mezzo di controinformazione alternativo a giornali e televisione. “L’azione collettiva” dei nuovi soggetti sociali – scrive Gambetta, che come ricercatore del Centro studi movimenti di Parma da anni si occupa della storia degli anni Sessanta e Settanta – “cambiò la politica e con essa le forme con le quali comunicarla”.

E così se nel 1968 il Maggio parigino contaminò per primo i codici dei fogli elaborati dai collettivi studenteschi, rapidamente anche le stampe della sinistra storica aggiornarono il proprio linguaggio. Lo stereotipo dell’operaio che il Partito comunista italiano attinse a lungo dalla tradizione del realismo socialista, ad esempio, l’uomo “muscoloso e virile” in marcia “verso il sole nascente” lasciò il posto all’immagine dinamica dell’individuo “giovane e combattivo” sovente raffigurato tramite “rielaborazioni di foto di tipo giornalistico” e in “situazioni di conflitto, cortei, scioperi e picchetti”. Avvenne così – ed ecco la tesi di Gambetta – che “il Sessantotto costrinse i vecchi partiti repubblicani e ridefinire le proprie narrazioni e il proprio immaginario. Certo il cambiamento fu “più rapido per quelle organizzazioni” che erano “a diretto contatto con le istanze dell’azione collettiva” e più lento per le forze moderate, ma “l’urto destabilizzante delle nuove generazioni” finì – secondo Gambetta – per influenzare la comunicazione politica nel suo complesso, facendo registrare sul sismografo della storia una di quelle curve d’accelerazione che solitamente si manifestano allorché “l’azione collettiva antisistemica” riesce a condizionare la vita pubblica e la cultura dominante. Cioè quando la storia delle masse, in definitiva, segna una vittoria a suo favore.

 

Marco Severo

 

 

 

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