Scontri di piazza, strategia della tensione e lotta armata negli anni Settanta
a cura di William Gambetta
Le mobilitazioni studentesche e operaie della fine degli anni sessanta, che chiedevano radicali trasformazioni nelle politiche economiche e sociali, furono affrontate dalle autorità dello Stato per lo più con misure di carattere repressivo. I prefetti e le questure, su indicazione del governo e del ministero dell’Interno, percepivano le proteste delle nuove generazioni come pericolosi elementi di “sovversione” contro i poteri esistenti e, dunque, reagivano con sgomberi delle università occupate, cariche contro i cortei, divieti di manifestazione e denunce alla magistratura.
Il protagonismo di studenti e operai, inoltre, riaccese remote paure in limitati ma attivi settori reazionari della classe dirigente che, insieme a gruppi della destra radicale, misero in atto una politica eversiva – nota come “strategia della tensione” – tendente a destabilizzare il quadro istituzionale per favorire una svolta autoritaria. Le 17 vittime della bomba di piazza Fontana, esplosa a Milano il 12 dicembre 1969, furono le prime di questo disegno che avrebbe segnato tutti gli anni settanta.
Le chiusure repressive dello Stato e, ancor più, le minacce alle istituzioni democratiche furono colte dai movimenti di contestazione come la risposta di un “potere autoritario” che voleva soffocare l’emergere del protagonismo delle classi subalterne e annichilire il progetto di rinnovamento politico e sociale. Essi, dunque, si percepivano all’interno di un “processo rivoluzionario” dove trovava posto anche il mito della “giusta violenza”, quella al servizio dell’emancipazione dei popoli. In questo comune immaginario, quasi tutti i gruppi della nuova sinistra – formatisi all’interno della “contestazione” – giustificavano e, a volte, incoraggiavano le pratiche degli scontri di piazza contro le forze di polizia e contro i partiti neofascisti.
Inoltre, a partire dalla metà degli anni settanta, quando già il ciclo di protesta aveva iniziato la fase discendente, pochi spezzoni ristretti e minoritari decisero che la violenza politica doveva fare un ulteriore passo in avanti, quello della lotta armata contro le autorità statali. Formazioni come Brigate rosse, Prima linea e i Nuclei armati proletari organizzarono sequestri, attentati e omicidi a esponenti politici, magistrati, giornalisti, poliziotti e industriali. Nella seconda metà degli anni settanta, dunque, la dialettica politica dei movimenti si trovò “chiusa” tra le azioni del partito armato e l’autorità dello Stato che criminalizzava ogni domanda di cambiamento e ogni azione di protesta.
Le chiusure repressive dello Stato e, ancor più, le minacce alle istituzioni democratiche furono colte dai movimenti di contestazione come la risposta di un “potere autoritario” che voleva soffocare l’emergere del protagonismo delle classi subalterne e annichilire il progetto di rinnovamento politico e sociale. Essi, dunque, si percepivano all’interno di un “processo rivoluzionario” dove trovava posto anche il mito della “giusta violenza”, quella al servizio dell’emancipazione dei popoli. In questo comune immaginario, quasi tutti i gruppi della nuova sinistra – formatisi all’interno della “contestazione” – giustificavano e, a volte, incoraggiavano le pratiche degli scontri di piazza contro le forze di polizia e contro i partiti neofascisti.
Inoltre, a partire dalla metà degli anni settanta, quando già il ciclo di protesta aveva iniziato la fase discendente, pochi spezzoni ristretti e minoritari decisero che la violenza politica doveva fare un ulteriore passo in avanti, quello della lotta armata contro le autorità statali. Formazioni come Brigate rosse, Prima linea e i Nuclei armati proletari organizzarono sequestri, attentati e omicidi a esponenti politici, magistrati, giornalisti, poliziotti e industriali. Nella seconda metà degli anni settanta, dunque, la dialettica politica dei movimenti si trovò “chiusa” tra le azioni del partito armato e l’autorità dello Stato che criminalizzava ogni domanda di cambiamento e ogni azione di protesta.
La lezione affronterà l’argomento attraverso l’analisi di documenti, fotografie e video.
Il percorso prevede due incontri della durata di due ore ciascuno ed è rivolto alle ultime classi delle scuole secondarie di secondo grado.
TORNA AL MENU TRACCE DI STORIA