Anna Menoni e le madri della Repubblica
B.go S. Anna, 22
Tra il 1944 e il 1946, per qualche tempo, in borgo Sant’Anna 22, visse con la famiglia Anna Menoni, prima donna eletta – nell’aprile 1946, insieme alla socialista Giuseppina Rivola – nel Consiglio comunale della città.
Nata il 25 aprile 1924, da bimba aveva frequentato le scuole elementari e, dopo la guerra, si diplomò geometra studiando alle scuole serali e per corrispondenza.
Dopo l’8 settembre 1943, con l’occupazione tedesca della città e la riorganizzazione del fascismo di Salò, suo fratello Renzo si unì alle formazioni partigiane sull’Appennino e, giorno dopo giorno, anche lei si ritrovò coinvolta nella rete clandestina. Dapprima collaborò a diffondere informazioni e volantini di propaganda in città ma poi, nel marzo 1945, dovette cercare rifugio in montagna.
Dal novembre 1944, fu tra le animatrici dei Gruppi di Difesa della donna, una rete femminile clandestina che si occupava di sostenere la lotta di Resistenza – ad esempio, inviando indumenti e armi alle brigate ‒ ma soprattutto di sensibilizzare altre donne alla causa partigiana, di coinvolgerle in un attivismo politico dal quale, all’epoca, esse erano escluse.
Dopo la Liberazione divenne una dirigente del Partito comunista italiano (Pci) e fece parte del governo provvisorio della città come rappresentante della sezione locale dell’Unione donne italiane (Udi), di cui fu segretaria fino al 1947.
Nell’aprile 1946 iniziò per lei un lungo e faticoso percorso interno alle istituzioni cittadine, in un ambiente prettamente maschile che nutriva ben poca fiducia verso la capacità politica delle donne. Fu dunque una delle tante che dovettero farsi spazio in istituzioni dominate dagli uomini, prendere parola in un’epoca in cui le donne tacevano, insistere per farsi ascoltare, scontrarsi con pregiudizi diffusi.
Giovane partigiana, Anna Menoni maturò nell’esperienza della Resistenza un nuovo senso di sé, del proprio ruolo politico e sociale, una visione del mondo più definita, una coscienza ideologica che la spinse ad aderire a una forza di rinnovamento qual era in quel momento il Pci. Nel marzo 1946, infatti, il partito la candidò – insieme ad altre compagne − alle elezioni amministrative del 7 aprile.
Fu, questa, la prima occasione in cui le donne italiane ebbero accesso al voto, non senza una precedente e lunga discussione circa la loro “maturità politica” e la loro capacità di orientarsi nel dibattito ideologico e di scegliere la classe dirigente che avrebbe dovuto guidare il paese.
Il suffragio universale era stato approvato con il Decreto luogotenenziale del 2 febbraio 1945 dal Governo Bonomi: a promuovere il provvedimento erano stati i comunisti di Palmiro Togliatti e i democristiani di Alcide De Gasperi. Ciò nonostante, il decreto aveva riconosciuto alle donne una cittadinanza politica parziale perché, se le donne potevano votare, ancora non avrebbero potuto essere elette. Escluse dal voto, poi, rimanevano le prostitute, ma solo quelle che esercitavano il meretricio fuori dalle case chiuse, sulla pubblica strada, ovvero quelle visibili e riconoscibili come tali,.
Solo il 10 marzo 1946, e cioè oltre un anno dopo, venne riconosciuta l’eleggibilità delle donne, quando ormai, però, gran parte delle liste elettorali per le imminenti elezioni amministrative ‒ che si tennero in cinque tornate tra marzo e aprile ‒ erano già state composte, ovviamente con una predominante maggioranza di candidati uomini.
A Parma si votò il 7 aprile, ed Anna Menoni, insieme ad altre tre donne (Bice Leoni, Lina Clerici e Emilia Bacchini), fu inserita nella lista del Pci, il partito che ottenne la maggioranza dei consensi in città.
Nei mesi precedenti le elezioni, molte attiviste − di diversi partiti e orientamenti ideologici − si impegnarono in una diffusa propaganda affinché le donne partecipassero al dibattito politico ed esprimessero il proprio voto. Dopo tanti anni di esclusione, infatti, votare era sentito da molte come uno straordinario momento di emancipazione sociale, al quale ognuna era chiamata a dare il proprio contributo. Lo stesso impegno, poi, caratterizzò il voto politico del 2 giugno, col quale venne scelta la forma istituzionale repubblicana ed eletta l’Assemblea Costituente.
Altissima, dunque, in città, fu la percentuale delle aventi diritto che, si recò alle urne, circa il 92%, smentendo ogni pregiudizio e timore maschile circa il disinteresse delle donne per la vita istituzionale.
Nonostante questa grande partecipazione, per quanto riguardava la rappresentanza femminile i risultati di queste prime elezioni furono piuttosto deludenti. A Parma le donne accolte tra i banchi del Consiglio comunale furono due su un totale di 50 consiglieri. Un risultato in sintonia con il resto del paese, visto che, nella nuova Italia democratica, solamente 2.000 donne erano state elette nelle varie amministrazioni. Gli stessi numeri risicati uscirono dalle urne del 2 giugno: su 556 deputati eletti all’Assemblea Costituente solo 21 erano donne (il 3,8%).
Ma, come già detto, ad essere poche ‒ sia alle amministrative che alle politiche ‒ non furono tanto le elette quanto le donne candidate: per il Consiglio comunale di Parma, ad esempio, nelle liste dei tre principali partiti (Dc, Pci e Psi) figuravano solo 12 donne su un totale di 150 candidati, pari appena all’8%.
L’immediato dopoguerra, dunque, si caratterizzò certamente per la presenza delle donne sulla scena pubblica, sia come impegno nei partiti, che nelle varie attività di ricostruzione. Tuttavia, a questo corposo impegno, non corrispose un’equivalente rappresentanza femminile nelle istituzioni.
Sul piano nazionale, pochissime donne ricoprirono cariche di governo: solo dal 1951 al 1953 una donna ‒ la democristiana Angela Guidi Cingolani ‒ fu sottosegretario all’Industria e commerci. L’unico spazio che venne lasciato alle madri costituenti fu quello relativo a temi che venivano considerati tipicamente femminile, come l’assistenza, la famiglia, l’istruzione e il lavoro femminile.
Ciò che si andò realizzando fu l’immissione nella politica delle competenze e dei valori fino a quel momento acquisiti e praticati dalle donne nell’ambito familiare. Il loro impegno nella vita pubblica, cioè, non si espresse nelle forme del confronto ideologico e istituzionale ma come una sorta di politicizzazione dei tradizionali ruoli femminili.
Il percorso delle donne all’interno delle istituzioni italiane fu dunque lungo e faticoso, anche perché, nel giro di pochi anni, la stessa spinta di rinnovamento di cui furono protagoniste, e che aveva caratterizzato i mesi della Resistenza e dell’immediato dopoguerra, si ricompose nel prevalere di un modello di donna più rassicurante, in continuità con la tradizionale immagine di madre e moglie esemplare. Convinzione di gran parte delle donne cattoliche, ad esempio, era la subalternità della propria partecipazione alla vita pubblica rispetto alla priorità del ruolo che esse dovevano mantenere nella famiglia. Solo in un secondo tempo il voto e l’agire politico sarebbero potuti essere strumenti per la propria emancipazione individuale.
E così molte donne ritornarono presto sfiduciate alla vita quotidiana, deluse dal divario tra le potenzialità del grande impegno femminile di quei primi anni e i suoi esiti. Nel tempo, poi, anche la percentuale di donne elette diminuì progressivamente: se nel 1948 nel Parlamento italiano sedettero 41 deputate, esse scesero a 36 nel 1953 e a 17 nel 1968.
Anche a Parma i numeri espressero da una limitata presenza femminile nella vita amministrativa. Tra il 1946 e il 1990, in mezzo a centinaia di uomini, furono solo 23 le donne che si alternarono tra i banchi del Consiglio comunale e una sola ‒ Mara Colla – nel 1989 ricoprì le funzioni di sindaco per tre anni, perché succeduta, in qualità di sua vice, al defunto Lauro Grossi.
Ma, al di là dei numeri, a essere importante per donne come Anna Menoni fu il valore soggettivo che il diritto di voto e la partecipazione alla vita politica ebbero nell’Italia democratica: le donne non solo poterono uscire dal focolare domestico ed entrare a buon diritto in una sfera tradizionalmente maschile, ma anche rompere divieti interiori, conquistarsi lo spazio della libertà, una sensazione che, dopo 20 anni di dittatura, per le donne assunse il sapore di una nuova era.
- Fondazione Nilde Iotti (a cura di), Le leggi delle donne che hanno cambiato l’Italia, Ediesse, Roma 2013.
- Patrizia Gabrielli, Il 1946, le donne, la Repubblica, Donzelli, Roma 2009.
- Brunella Manotti, Le donne del Parmense e le elezioni amministrative del 1946, in Repubblica Costituente e voto alle donne, Battei, Parma 2007, pp. 57-71.
- Laura Derossi (a cura di), 1945: il voto alle donne, FrancoAngeli, Milano 1998.
- Anna Rossi Doria, Diventare cittadine. Il voto alle donne in Italia nel 1945, Giunti, Firenze 1996.
- Marina Addis Saba, Mimma De Leo, Fiorenza Taricone (a cura di), Donne e Costituente: alle origini della Repubblica, Dipartimento per l’informazione e l’editoria, Roma 1996.