Centro studi movimenti, 20 agosto 2013

La scritta neofascista tracciata alcune notti fa dietro la lapide che ricorda l’assassinio di Mario Lupo è l’ennesima testimonianza di quanto la memoria democratica della città abbia bisogno non solo di essere maggiormente custodita ma anche rilanciata e rinvigorita, è il segno della forza dell’oblio e delle strumentali distorsioni di uno degli eventi più tragici che hanno segnato la storia repubblicana di Parma.

Vale la pena allora ricordare le molte cose successe, anche nel resto del paese, quando la sera del 25 agosto 1972 un gruppo neofascista – di quell’area estrema a metà strada tra la parte più oltranzista del Movimento sociale italiano e il Movimento politico di Ordine nuovo (questo il riferimento della firma “MPON” della scritta sul muro) – si armò di coltelli, si nascose dietro le siepi di viale Tanara, davanti al Cinema Roma, e uscì all’improvviso aggredendo alcuni giovani militanti della nuova sinistra, trafiggendo al cuore il diciannovenne Mario Lupo.

Vale la pena ricordare il clima politico pesantemente segnato dalla “strategia della tensione”, ovvero dall’attività eversiva del “partito dell’ordine” dell’estrema destra, fuori e dentro le istituzioni repubblicane, che tentava di creare disorientamento e paura nell’opinione pubblica affinché il debole quadro democratico fosse sconfitto con una svolta autoritaria, sul modello del golpe militare avvenuto in Grecia nel 1967. E di questa “strategia” vale la pena ricordare non solo l’aspetto più tragico – quello delle bombe nelle banche, nelle piazze o sui treni – ma anche quella lunga serie di aggressioni, pestaggi e provocazioni di gruppetti dell’estremismo neofascista e neonazista verso militanti e sedi di organizzazioni operaie e studentesche.

Anche a Parma l’attivismo di quella destra radicale fu più volte denunciato alla Questura, così come i suoi attivisti, quegli stessi che furono poi autori dell’omicidio dell’agosto 1972.

Recenti ricerche del Centro studi movimenti di Parma nell’Archivio centrale dello Stato di Roma, tra le carte del Ministero dell’Interno da poco desecretate, hanno portato alla luce una consistente documentazione su quelle iniziative violente e sulla risposta, decisa e di massa, che a quelle azioni opposero i movimenti della nuova e vecchia sinistra, dagli assalti alla sede del Msi in strada Maestri ai cortei e comizi di migliaia di persone per respingere quelle provocazioni.

Tra queste carte, fatte di relazioni e comunicazioni, ne segnaliamo una particolarmente interessante che rivela quanto i funzionari della Questura di Parma, a poche ore dall’omicidio, fossero già pienamente consapevoli di ciò che era avvenuto. Si tratta di un telegramma, spedito alle 3 di notte del 26 agosto, quattro ore dopo l’omicidio, in cui il prefetto Franzé parla senza mezzi termini dell’avvenimento indicando, sulla base di “numerose testimonianze”, gli autori dell’assassinio, le dinamiche dell’aggressione e la sua matrice politica, tanto che, oltre alle perquisizioni degli appartamenti dei neofascisti coinvolti, il prefetto stesso ordinò anche quella della sede locale del Movimento sociale italiano.

Una matrice politica che nei giorni successivi, nei comunicati alla stampa e nelle dichiarazioni pubbliche della Questura, gli stessi funzionari di Stato tentarono di mitigare, sollevando la inconsistente tesi di un omicidio “per questioni di donne”. Un modo per alleviare la propria responsabilità nella gestione dell’ordine pubblico, visto che ben prima del 25 agosto le denunce verso quei neofascisti per minacce e aggressioni erano state numerose. Una matrice politica, però, che non fu messa in discussione nell’iter processuale, così come non vi furono dubbi su chi fosse l’aggressore e chi l’aggredito: nel lungo procedimento giudiziario, infatti, il tema del dibattimento fu solo la matrice dell’omicidio, se preterintenzionale o premeditato. Un dibattito che si concluse – è ancora bene ricordarlo – con la sentenza definitiva della Corte d’Appello di Ancona nel 1976, con la quale furono condannati Edgardo Bonazzi, Andrea Ringozzi e Luigi Saporito per omicidio volontario.

Secondo la sentenza– consultabile da chiunque – l’aggressione del 25 agosto era stata “decisa, preordinata ed attuata da una sola parte contro l’altra, che si limitò, peraltro con scarsissima efficacia, a difendersi… non possono dunque esservi dubbi sul fatto che, i giovani missini, quella sera, avevano in animo di fare qualcosa e si erano preparati in tal senso”. L’omicidio fu premeditato e, per questo, in tre scontarono la loro pena.

Queste recenti scritte dietro la lapide del giovane Mario Lupo, però, e quello che nel più bieco senso comune ancora si vocifera su quell’assassinio, ci chiamano in causa tutti perché non sono solo un’aggressione alla memoria della città ma anche alla nostra identità di comunità democratica.

 

Parma, 20 agosto 2013

Centro studi movimenti