Centro studi movimenti, 29 aprile 2013

La figura di Eugenio Copelli, il partigiano “Gianni”, era già stata spaccata tra il 25 e il 26 aprile ma, immediatamente, alcuni cittadini l’avevano riparata e riposizionata all’angolo tra borgo Copelli con piazza Ghiaia. Dopo due giorni, però, nella notte tra sabato e domenica è sparita di nuovo. E con essa è stato colpito un altro dei “segni della memoria” che la mostra 10 volti per la Liberazione ha diffuso tra le piazze e le strade della città.

Questa ennesima offesa – che segue quella a “Nullo” e a “Mirka” dei giorni scorsi – non lascia più dubbi su quanto l’esposizione diretta e senza protezione nella vita della città di icone partigiane abbia fatto emergere le contraddizioni che evidentemente lacerano la memoria collettiva rispetto all’antifascismo e alla Resistenza.

Dall’inaugurazione del 24 aprile a oggi, si sono succeduti – e accavallati – fatti diverse e alcune prese di posizione rispetto a quelle sagome. E, in questo senso, la mostra ha forse raggiunto uno dei suoi obiettivi: quello di portare all’esterno delle stanze protette dell’antifascismo ufficiale la discussione su quel passato. Gli sfregi hanno suscitato indignazione e, soprattutto, atti spontanei e concreti di singoli cittadini che si sono offerti di fare qualcosa, di riparare una sagoma o di proteggerla durante la notte, come se questo gesto equivalesse a prendersi cura della propria memoria e a preservare un pezzo della propria identità. Agli sfregi, dunque, senza che nessuno lo chiedesse, si sono opposte delle scelte. Scelte personali, proprio come quelle fatte, nel corso dei venti mesi dell’occupazione nazista e del collaborazionismo fascista, da quegli uomini e da quelle donne oggi sfregiati. Scelte che segnalano lo schierarsi rispetto a quel passato e alla sua memoria: proteggerla anziché distruggerla.

Eppure, nella contesa tra queste differenti pulsioni, ci sembra manchino ancora gli attori più importanti, quasi che il destino di quelle sagome partigiane sia affare di pochi, affare nostro che abbiamo organizzato la mostra, e non il segnale più brutale della devastazione culturale cui la nostra città e la nostra collettività sono state sottoposte negli ultimi decenni, con l’equiparazione del fascismo all’antifascismo come fossero culture superate, “roba vecchia”, ideologia…

Gli attori di cui parliamo, quelli il cui silenzio ci sembra assordante, sono principalmente i partiti e i movimenti democratici che all’antifascismo dicono di ispirarsi e, più in generale, il movimento antifascista nel suo complesso, nelle sue diverse componenti politiche come nelle differenti istanze di base, dai collettivi giovanili più radicali al tessuto ancora vivo dell’associazionismo dei circoli di quartiere.

Quelle sagome rotte, una dopo l’altra, segnalano che nella nostra città la battaglia delle idee rispetto alla memoria dell’antifascismo non può più essere rimandata e, soprattutto, che è “affare di tutti”.

 

Parma, 29 aprile 2013

Centro studi movimenti