Società italiana e televisione da Lascia o Raddoppia a Striscia la notizia

A
a cura di Ilaria La Fata
 
La storia della televisione italiana può essere suddivisa in due fasi: una prima, tra il 1954 (anno d’inizio delle trasmissioni regolari) e la prima metà degli anni Settanta, e una seconda, iniziata circa nel 1975 che continua sostanzialmente ancora oggi.
Accanto agli indubbi elementi di continuità, in queste due fasi il sistema televisivo ha assunto caratteristiche organizzative e comunicative molto differenti. Il periodo 1954-75 era stato contraddistinto soprattutto dal monopolio pubblico, con il controllo diretto dell’esecutivo e con l’attribuzione, almeno ufficialmente, di una funzione educativa al mezzo televisivo. La televisione come “servizio pubblico” fu pensata non solo come occasione di intrattenimento, ma anche come strumento di educazione e informazione, contribuendo a creare una lingua nazionale in un paese dove l’analfabetismo era ancora particolarmente diffuso. Se quello che rese popolare la tv fu senza dubbio l’intrattenimento (basti pensare a programmi come Lascia o raddoppia?), la trasmissione più seguita restava sempre il telegiornale: per anni le sue notizie sarebbero apparse come più attendibili di quelle pubblicate sui quotidiani, a causa della percezione delle immagini da parte del pubblico come verità oggettiva.
 
La fase successiva, il cui inizio può essere fissato convenzionalmente nella riforma della Rai (1975), è stata invece caratterizzata dalla presenza di una prolungata incertezza normativa e di instabilità politica (nella quale la televisione da strumento del potere si trasformò in uno dei principali oggetti del conflitto politico e anche nel luogo privilegiato di quello stesso conflitto). Questo periodo fu segnato prima dalla comparsa, accanto alla televisione pubblica, di una pluralità di aziende private, poi dall’ascesa di un solo grande gruppo, la Fininvest (oggi Mediaset), ad una posizione di egemonia, fino alla formazione di un regime di sostanziale duopolio. Questa fase, definita da alcuni studiosi come quella della “neotelevisione” (in contrapposizione alla “paleotelevisione” del periodo precedente) fu segnata da cambiamenti significativi anche sul piano del linguaggio e delle abitudini di ascolto. Di fatto si è introdotto, e ha prevalso, un modello di televisione commerciale di impronta soprattutto statunitense, caratterizzata da un flusso quotidiano (anziché una scansione settimanale dei programmi), dal prevalere della conversazione sulla fiction e sulle notizie, dalla presenza del mezzo televisivo in tutte le ore della giornata. La televisione assunse una forte impronta generalista, offrendo prodotti dal contenuto socioculturale medio, in grado di raggiungere tutti gli spettatori, il “grande pubblico”, senza distinzione di sesso, età, classe e categoria sociale d’appartenenza.
Analizzando lo sviluppo dell’industria culturale televisiva nell’Italia del XX secolo è possibile ripercorrere i mutamenti di costume, culturali e politici della società italiana. La storia del sistema radiotelevisivo italiano diventa così, a più livelli, paradigma della storia del paese, sia sociale che politica ed economica.

 

Il percorso, basato prevalentemente su immagini e filmati, prevede due incontri di due ore ciascuno ed è rivolto a tutte le classi delle scuole secondarie di primo e secondo grado.